lunedì 10 settembre 2012

"Pensieri in ordine sparso" dal diario di un seminarista.


Cari amici ed amiche del Cammino,

Tra tutti i pellegrini che durante questa prima estate hanno percorso, con motivazioni a volte molto diverse (ma trovo che vi sia quasi sempre alla base una ricerca, più o meno consapevole) il Cammino di San Benedetto, non ho dubbi nell'affermare che i simpatici bresciani Davide e Paolo (seminarista in vista dell'ordinazione diaconale il primo; prof. di religione il secondo) siano quelli che meglio di tutti siano riusciti a coglierne l'aspetto spirituale. Davide e Paolo hanno percorso il Cammino per intero, ed il loro è stato indiscutibilmente un cammino di Fede, dalla prima all'ultima tappa. Ho chiesto loro di raccontare brevemente come abbiano vissuto il cammino, in quanto credo che il loro diario possa essere di aiuto a tutti coloro che ritengono il Pellegrinaggio qualcosa di più di una bella camminata. Pubblico quindi molto volentieri queste belle riflessioni, personali e così vere, ringraziando di cuore Davide per la sua bella testimonianza. 

"PENSIERI IN ORDINE SPARSO" di Davide Corini

Come al solito ho bisogno di qualche giorno, dopo un’esperienza importante, per rimettere in ordine le cose e cercare di fare sintesi fra le mille cose viste e vissute, cercando quel “qualcosa” che resta per la vita.
Ho percorso il cammino di san Benedetto come pellegrinaggio in preparazione alla mia ordinazione diaconale che avverrà il 22 settembre: l’esigenza di “farmi pellegrino” era sorta in parte come voto, in parte come richiesta al Signore.
Questo è il “perchè” che mi ha fatto partire, ma durante il cammino il medesimo “perchè” si è fatto più chiaro e ha assunto contorni più precisi.... è un po’ troppo personale dire in cosa consista questo “perchè”, basti sapere che è qualcosa di davvero speciale, che ha a che fare con me, con gli altri e con Dio.

Sì perchè è Dio il grande protagonista del cammino. Certo, lo so che sono mille i motivi per iniziare a camminare, tutti importanti e belli, non fosse altro che la semplice voglia di mettersi in gioco in un contesto diverso da quello di tutti i giorni. Eppure credo che alla base del cammino ci sia sempre una ricerca importante, qualcosa che ha bisogno di uno spazio e un tempo particolare per poter assumere caratteri significativi. Uno spazio e un tempo pienamente umani, scanditi dal ritmo dei passi e regolati dai tempi naturali dell’alba e del tramonto. In questo spazio e tempo ha luogo la ricerca. Di cosa? Ognuno ha la sua, ma credo che per tutti sia ricerca di senso. Mi spingo ancora un po’ più in là e azzardo che anche per chi non crede sia ricerca di Dio.

Perchè Dio è sempre da ricercare, nessuno mai lo può contenere o possedere: di fronte a Dio siamo tutti pellegrini e chi si fa pellegrino rende solo più evidente questa realtà profonda della vita. Così, sulla scia del pellegrino russo, la preghiera più bella e presente nel mio camminare è stata proprio la preghiera del cuore, ritmata all’infinito non dal battito del mio cuore ma dal TAC dei miei bastoncini da trekking: Signore Gesù - Figlio di Dio - abbi pietà - di me peccatore.






La cosa stupefacente del cammino è che cose che normalmente non notiamo a causa della velocità alla quale viviamo, assumono ai nostri occhi un’importanza diversa durante il viaggio. Così i giorni del cammino sono costellati di piccoli aneddoti, di avvenimenti, di segni minuscoli che però colmano di stupore e gioia l’animo del pellegrino. Tutto acquista o forse riacquista la giusta importanza: la soddisfazione per essere giunti alla meta, la gratitudine verso chi ti accoglie o ti offre anche solo un bicchiere di acqua fresca (quanto è vicino il Vangelo alla vita di tutti i giorni!), la simpatia profonda per chi abita la terra che ti sta ospitando. 

Fare un pellegrinaggio significa entrare in contatto anche con la fatica, con il caldo torrido di alcuni pomeriggi su strade non riparate dall’ombra, con i limiti del mio corpo non sempre pronto allo sforzo. Questi aspetti non sono solo uno pegno da pagare per il viaggio, sono anch’essi il viaggio. Perchè quando va tutto bene spesso non ti accorgi di tutto quello che hai; forse è davvero necessaria un po’ di notte per vedere risplendere le stelle, come dice quella splendida iscrizione all’ingresso del sacro Speco a Subiaco. Così ti ritrovi, dopo due giorni di convivenza con una fastidiosa vescica proprio sul mignolo del piede, a ringraziare e gustare il sollievo di avere il mignolo sano... è solo un esempio di quello che intendo quando dico “dare il giusto peso alle cose”.

Nel cuore del pellegrino abita il ringraziamento e lo spirito di lode, perchè ti accorgi che ogni cosa è dono: l’acqua così utile et humile et pretiosa et casta (quanto è vero!), il sole, l’augurio di buon cammino rivolto a te con simpatia dalle vecchie sedute sull’uscio di casa, e così via per mille altre cose. 


Ogni tappa diventa occasione per incontrare qualcosa di nuovo e entrare in contatto con chi prima di te ha percorso le stesse strade con lo spirito rivolto al cielo: i santi. Il grande pellegrinaggio contiene in realtà tanti pellegrinaggi che portano a incontrare e conoscere uomini e donne esemplari, capaci di dire ancora qualcosa alla vita di chi si ferma a contemplarli. 
Su tutti spicca la figura di Benedetto che ho pensato e amato come un uomo che ha cercato Dio senza risparmiare se stesso, fino a diventare una guida sicura per il cammino degli altri.
Uomo di Dio e uomo per gli uomini, amante del silenzio e della vita comune: un vero esempio per tutti i tempi.

In fin dei conti credo che la parola che più riassuntiva del senso del viaggio ora sia un grande GRAZIE.
Con il pensiero ritorno e dico grazie ai monaci incontrati a Norcia, Subiaco e Montecassino, ai frati di Leonessa e Poggio Bustone, alle suore di Pozzaglia Sabina (fantastiche!), ad Angelo di Roccasecca, a Simone che ci ha seguito con grandissima attenzione e gentilezza, alle tante e tante persone che abbiamo incontrato per il cammino.... tanti volti, alcuni senza neppure un nome, che però ci hanno dato una iniezione di fiducia nell’altro.
La comunità di Taizè chiama i suoi incontri “Pellegrinaggio di fiducia sulla terra”: mi sembra una sintesi mirabile di quello che significa fare un pellegrinaggio cioè percorrere le medesime strade di tutti gli altri portando però nel cuore il grande desiderio di riaprire quei canali di fraternità con l’altro che troppo spesso le nostre preoccupazioni rendono aridi. A chi ti incontra per strada durante il pellegrinaggio non serve che tu dica chi sei, cosa stai facendo o quali sono le motivazioni che ti portano lì: agli altri basta vedere la tua faccia, il tuo sorriso pieno di gratitudine per una cosa da niente, il tuo buongiorno detto con calore, per capire che tu stai portando con te qualcosa di importante.

I benedettini erano soliti concludere le loro pubblicazioni con la sigla U.I.O.G.D., citando la Regola quando dice ut in omnibus glorificetur deus (perchè in ogni cosa Dio sia glorificato). Mi piacerebbe che fosse questo il sigillo del pellegrinaggio, ricordando che, come scrisse sant’ Ireneo, la gloria di Dio è l’uomo vivente: possa essere il nostro camminare, come del resto tutta la nostra vita, una lode a Dio.



U.I.O.G.D.

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