lunedì 24 dicembre 2012

BUON NATALE A TUTTI I PELLEGRINI!!!

Quest'anno il mio Natale sarà ancora più bello, grazie alle tante persone speciali che il Cammino mi ha fatto incontrare! Spero sia lo stesso anche per te, che hai vissuto o presto vivrai l'esperienza del Cammino! Scoprire sé e il prossimo, accorgerci di tutta la Bellezza che ci circonda, trovare che una pace autentica è possibile...non è un piccolo miracolo? Tutto questo, con l'azione apparentemente più insignificante che ci sia: camminare.

Ti lascio un pensiero per augurare, a te e ai tuoi cari:
BUON NATALE!!!


Il blog proseguirà dopo il periodo natalizio
Buone feste, Simone

lunedì 17 dicembre 2012

IL MESSAGGIO DI BENEDETTO 5) La stabilitas: un àncora di salvezza per l'uomo d'oggi

Ascolta, figlio, i precetti del maestro, porgi attento il tuo cuore, ricevi di buon animo i consigli di un padre che ti vuol bene e mettili risolutamente in pratica, per ritornare con la fatica dell'obbedienza a Colui dal quale ti eri allontanato per l'accidia della disobbedienza (Regola benedettina, prologo)


In questo quinto post analizzeremo cosa Benedetto intenda per stabilitas: un principio di ordine e stabilità al quale noi, persone d'oggi sempre più sradicate e insicure, dovremmo attingere come un bene prezioso!

Gli storici sottolineano che la stabilitas, la continuità, l'appartenenza a una comunità concreta e ordinata che Benedetto esige dal monaco fu un'àncora di salvezza per quella sconvolta epoca di migrazioni di popoli. In anni recenti si è invece tentato di attenuarla: in un'epoca della mobilità, la stabilitas sarebbe un relitto del passato. Oggi però ricomincia a crescere una nuova comprensione del suo valore positivo: nella nostra epoca dei cambiamenti, in cui gli uomini sono obbligati a mutare di continuo residenza e vivere in ambienti nuovi, i punti fissi sono diventati una benedizione. Dalla continuità viene anche una certa imperturbabilità di fronte agli avvenimenti quotidiani. Molti giovani hanno intuito l'importanza di potersi appoggiare a una comunità stabile, sempre uguale a se stessa nella sua quotidianità, negli anni che passano, mentre tutto cambia, fuori e dentro sè. Oggi si avverte un crescente timore del legame. Si ha paura a legarsi in un matrimonio; si esita a decidersi per una professione. Si vorrebbe far prima le prove di tutto, bussare prima a tutte le porte; ma, prima che uno se ne possa rendere conto, sono tutte chiuse. E così si continua a vivere senza decidere e senza legami stabili. Invece della vita intensa e libera che si sperava, si raccoglie sradicamento, insicurezza, angoscia di fronte alla vita. L'incontro con la stabilitas di Benedetto potrebbe davvero essere un efficace antidoto per degli uomini e delle donne che non si sentono più a casa, in quest'epoca di sconvolgimenti. Ma la stabilità benedettina non può diventare una fuga dalle responsabilità sociali. E' piuttosto un contrappeso, che ci richiama a prestare più attenzione alle nostre radici. E potrebbe darci il coraggio di decidere di fermarci, di assumere dei legami. Ma la stabilitas è di più che semplicemente legarsi e restare in un posto. Per gli antichi monaci, la stabilitas è essenzialmente tener duro quando si è squassati da tutti i possibili pensieri e tentazioni. E' il "restare nella propria cella": che non significa affatto fingere di non vedere i propri problemi, ma al contrario affrontarli, senza scappare da sè. La stabilitas, potremmo dire il saper resistere nella propria cella, potrebbe anche oggi essere per molti un metodo salutare per guarire la loro intima irrequietezza. Il grande filosofo Blaise Pascal disse che "tutta l'infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera". Se imparassimo di nuovo a "stare nella nostra stanzetta", a perseverare e resistere alla tentazione di cambiare sempre, allora potremmo vedere quante cose in noi si chiarirebbero, fino a che punto andremmo alle radici dei nostri problemi e da dove la nostra guarigione dovrebbe ripartire. Se è anche vero che la testa vuole novità, il cuore desidera in fondo sempre la stessa cosa.


Per approfondire: 
Anselm Grun, "Benedetto da Norcia La Regola per l'uomo d'oggi", ediz. San Paolo.
Regola Benedettina

domenica 9 dicembre 2012

IL MESSAGGIO DI BENEDETTO 4) La pace benedettina

Ascolta, figlio, i precetti del maestro, porgi attento il tuo cuore, ricevi di buon animo i consigli di un padre che ti vuol bene e mettili risolutamente in pratica, per ritornare con la fatica dell'obbedienza a Colui dal quale ti eri allontanato per l'accidia della disobbedienza (Regola benedettina, prologo)


In questo post analizzeremo cosa Benedetto intenda per pax benedictina: la pace benedettina, uno dei cardini dell'intero messaggio di Benedetto. Un messaggio importante per ogni tipo di comunità: dal monastero, al luogo di lavoro, alla famiglia.

"Pax benedictina": la pace benedettina.
L'ideale di uomo in san Benedetto non è il grande artefice, il realizzatore di opere importanti, e nemmeno l'uomo con una straordinaria dedizione religiosa o il grande asceta; ma l'uomo saggio, sapiente e maturo che sa mettere gli uomini d'accordo tra loro, che crea intorno a sè un'atmosfera di pace e reciproca comprensione. Naturalmente, non si può cominciare di punto in bianco a essere uomo di pace. Perchè la pace può costruirla solamente chi ha fatto prima pace dentro di sè, si è riconciliato con se stesso, con le proprie debolezze ed errori, con le proprie necessità e desideri, con le proprie divergenti tendenze e aspirazioni. Costruire la pace non è un programma da sbandierare; deve piuttosto nascere dalla pace che uno si porta dentro. E questa pace interiore si raggiunge solamente con un'intensa e durevole battaglia per la propria intima sincerità e con la preghiera, in cui si cerca di capire ciò che Dio si aspetta dalle nostre e altrui debolezze. E' soprattutto dall'abate che Benedetto si aspetta che sia capace di costruire la pace. E la condizione più importante è che sappia guarire. Scrive Benedetto: "L'abate si prenda cura con ogni sollecitudine dei fratelli che hanno mancato, perchè non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati (Mt, 9,12)...L'abate deve prodigarsi con ogni accortezza e cura per non perdere nessuna delle pecore affidategli. Si ricordi di aver assunto la cura di anime inferme, non un potere dispotico su quelle sane...imiti l'esempio del buon Pastore, che, lasciate le novantanove pecore sui monti, andò alla ricerca di quell'una che si era smarrita, ed ebbe tanta compassione della sua debolezza da degnarsi di porsela sulle sue spalle e di riportarla all'ovile" (Regola, XXVII). La normale reazione alle debolezze dei nostri sottoposti è rabbia e collera. Piacerebbe a tutti poter andare orgogliosi della comunità che rappresenta: l'abate del suo monastero, il capo della sua ditta, il padre della sua famiglia. Ma se vi si trovano delle pecore nere, che danneggiano la reputazione della comunità, viene assai facile emarginarle. Su questo, Benedetto ci dice che colui che dirige una comunità deve liberarsi dal proprio orgoglio per farsi attento al singolo, nella sua debolezza, e occuparsene come il buon Pastore. E mentre sta dietro a lui, alla sua debolezza, conoscerà meglio anche la propria e la combatterà. Se si comporta in questo modo, dimostra di essere un vero medico, che vive in se stesso le ferite dell'altro, per sopportarle e portarle con l'amore salvifico di Dio. La pace non si può imporre, nè regolamentare con la disciplina; la pace deve svilupparsi su una base di amore abbastanza potente da farsi carico degli errori dei confratelli e sanarli. Ciò richiede che l'abate, o chiunque sia a capo di una comunità, abbia una capacità straordinaria di amare. La pace che l'abate deve costruire nella sua comunità non è però una pace imbelle, che si potrebbe ottenere cedendo sempre; al contrario, l'abate deve portare i conflitti alla luce. Per questo Benedetto dedica degli specifici capitoli della Regola alle ammonizioni e punizioni dei confratelli che hanno sbagliato. Le misure che propone, oggi potrebbero apparirci piuttosto drastiche. Il fatto è che Benedetto persegue i conflitti, ed è conseguente, ma non è rigido. Il suo principio supremo resta sempre la responsabilità che ha verso il debole, e il suo desiderio di guarirlo. Secondo Benedetto, in una comunità la pace regna quando ognuno ammette i propri desideri ed esigenze e se l'abate, con il dono del discernimento, decide fino a che punto può tenere conto delle necessità dei singoli. "Dice la Scrittura: veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno (At, 4,35). Con ciò non si vuol dire che si facciano preferenze, ma che si deve avere riguardo alle necessità dei più deboli. Chi ha meno bisogno, ringrazi Dio e non si lamenti; chi ha maggiori necessità, sopporti con umiltà il suo stato di bisogno, e non si insuperbisca per quanto gli viene elargito. Così tutte le membra saranno in pace" (Regola, XXXIV, 1-5). Condizione indispensabile per la pace è dunque che ognuno abbia e ottenga una giusta valutazione delle sue necessità. La necessità è l'ammissione di una debolezza. Però la necessità ha anche il suo diritto. E Benedetto ammette che questo diritto va soddisfatto. Oggi i sociologi appurano una crescente inettitudine alla pace. Nella società ha preso il sopravvento l'estremizzazione dei gruppi. I gruppi hanno disimparato a vedere gli altri in modo obiettivo, a capirne le giuste aspettative e prenderle sul serio. E troppo presto si arriva a farsi un'immagine ostile dell'altro, e lo si combatte. Oggi i costruttori di pace sono in cerca di un nuovo modo di vivere, in pace gli uni con gli altri. Ne dipende il futuro del mondo. Proprio da Benedetto potremmo imparare  come si fa a creare pace. Benedetto non compila nessun grandioso programma di pace, ma fa pace intorno a sè. Così dovremmo fare anche noi. Perchè ogni programma comporta una parte di contesa. Oggi se ne compilano tanti, di programmi: anche sotto l'egida di ideali positivi, ma subito rivolti contro qualcosa o qualcuno. Così si finisce a spendere energie enormi in polemica, contro tutti quelli che hanno una concezione diversa dalla nostra! Benedetto si tiene ben lontano da questo genere di lotta. Lui non muove guerra a nessuno. In un mondo in cui gli uomini erano tutti gli uni contro gli altri, egli costruisce la sua comunità, lavora per far spazio in essa alla pace di Cristo. Nè ha la pretesa di darla come modello di pace al mondo. Senza nessuna ambizione di tramandarla, egli realizza intorno a sè una vita cristiana, e giorno dopo giorno lavora alla costruzione di una comunità cristiana dell'amore. Diventare uomini positivi che sanno costruire senza demolire gli altri: proprio questa è una delle più importanti raccomandazioni di Benedetto per noi uomini d'oggi. Con il suo tentativo di creare la pace nella sua comunità, Benedetto diffuse delle esperienze che agirono nei secoli, e contribuirono in modo determinante alla pace nell'Occidente del Medioevo.


Per approfondire: 
Anselm Grun, "Benedetto da Norcia La Regola per l'uomo d'oggi", ediz. San Paolo.
Regola Benedettina

sabato 1 dicembre 2012

IL MESSAGGIO DI SAN BENEDETTO 3) La Discretio: Il dono del discernimento

Ascolta, figlio, i precetti del maestro, porgi attento il tuo cuore, ricevi di buon animo i consigli di un padre che ti vuol bene e mettili risolutamente in pratica, per ritornare con la fatica dell'obbedienza a Colui dal quale ti eri allontanato per l'accidia della disobbedienza (Regola benedettina, prologo)

In questo post analizzeremo la psicologia e la pedagogia sottese alla Regola Benedettina, prendendo in analisi la discretio: il principio del discernimento e della giusta misura. Requisito fondamentale non solo per il monaco, ma per qualsiasi persona che viva in una società di uomini.

PSICOLOGIA e PEDAGOGIA IN BENEDETTO
"La Discretio": il dono del discernimento

Benedetto nutre grande stima per la discretio, intesa come giusta misura e dono del discernimento degli spiriti. Dal punto di vista della vita religiosa, Benedetto rinuncia agli ideali troppo alti di ascesi, per calarsi invece sull'uomo con giusta e sapiente misura. La proposta di un ideale troppo alto di vita religiosa corre infatti il rischio di diventare per gli uomini una proposta di identificarsi con esso, e per ciò stesso anche un pretesto di fuga da se stessi. A Benedetto non serve reclutare membri alla sua comunità con test psicologici. Benedetto intende "istituire una scuola al servizio del Signore". E ci dice come intende portare a compimento la sua opera: "Speriamo di non stabilire nulla di troppo austero o gravoso. Ma se per un principio di equità, per correggersi dai difetti e conservare la carità sarà introdotto qualcosa di un po' più rigoroso, non lasciarti prendere subito dal timore e non allontanarti dalla via della salvezza, via che all'inizio non può che essere stretta" (Regola, Prologo, 45-48). Non è quindi a un grande ideale, né a una qualche grande opera che si deve aspirare; le esortazioni di Benedetto sono piuttosto al servizio dell'uomo e della sua salvezza. Per Benedetto al centro c'è l'uomo: un uomo da salvare, che deve trovare la via verso la vita. Benedetto prende gli uomini come sono, e perciò anche i deboli. Non proclama nessuna religione dei forti; si tiene altresì lontano da quell'entusiasmo che avrebbe potuto suscitare rincarando le esortazioni. Tenuto conto della debolezza degli uomini, vuol fare vivere anche i deboli. E ciò richiede un cammino della giusta misura, non calcolato su un ideale astratto, ma sull'uomo concreto. E' per questo che la proposta di Benedetto diventa una proposta di vita per molti. Benedetto non spaventa, ma incoraggia, rimette in piedi. Nonostante il suo realismo, di chi conosce le debolezze degli uomini avendone fatto esperienza diretta, Benedetto resta un ottimista, uno che anche ai deboli, ai tipacci, ai mediocri e a coloro che si angustiano per banali conflitti fa intravedere il cammino verso la vita. La discretio non è affatto una concessione allo stile di vita dominante. Intendere la discretio in questo modo sarebbe prendere un fatale abbaglio sul pensiero benedettino. Un monachesimo di stampo borghese non potrebbe mai rifarsi a Benedetto. Lui intende la discretio piuttosto come quella virtù che tutto mantiene in bell'ordine, "in modo che i forti abbiano ciò che desiderano e i deboli non siano costretti a cedere" (Regola, LXIV, 19). I forti devono sostenere e accompagnare i deboli. Per i monaci, ciò è segno di vera forza. Al giorno d'oggi, ce lo dice anche la psicologia, solamente chi è abbastanza forte da accettare le proprie debolezze può sollevare e accompagnare i deboli. E quando ci irritiamo con i deboli, spesso è perché ci fanno ripensare alle nostre debolezze, quelle che abbiamo tanto faticato a vincere e con le quali non vorremmo avere più niente a che fare. Dunque, dai forti della sua comunità Benedetto vuole che accompagnino i deboli, senza innalzarsi sopra essi, ben conoscendo le proprie debolezze e ringraziando per l'aiuto Dio, quell'aiuto che uno riceverlo per spartirlo con gli altri. Ciò finisce per incoraggiare deboli e forti, unendo tutti in quella grazia di dio da cui tutti sanno di essere sostenuti. La discretio come dono del discernimento è una virtù soprattutto dell'abate, virtù di chi si trova a condurre gli altri, educarli e forgiarli. Nel fare ciò, l'abate non deve giudicare con il criterio del suo io, dei suoi desideri e necessità; deve cioè essere libero da quella che oggi la psicologia chiama proiezione: libero dai propri problemi irrisolti, emozioni e impulsi che, non ancora chiariti, avesse proiettato sul mondo esterno. Bisogna che l'abate "detesti i vizi, ma ami i fratelli". Nel correggere agisca con prudenza e senza eccessi, perchè, volendo raschiare troppo la ruggine, non gli capiti di rompere il vaso; abbia sempre presente la sua fragilità, e ricordi che "non si deve spezzare la canna incrinata". Questo non significa certo che debba permettere che si alimentino i vizi; ma che li deve recidere con prudenza e carità, nel modo che gli sembrerà di maggiore utilità per ciascuno, cercando di "essere amato, più che temuto". "L'abate si ricordi sempre di quello che è e di come viene chiamatro, e sappia che a chi fu dato molto, molto sarà richiesto. Sia inoltre consapevole della difficoltà e delicatezza del compito che si è assunto di governare le anime, adattandosi ai diversi temperamenti che richiedono alcuni la dolcezza, altri il rimprovero, altri ancora la persuasione; sappia adattarsi e conformarsi a tutti, secondo l'indole e l'intelligenza di ciascuno, così da non subire perdite nel gregge affidatogli, rallegrandosi invece per il suo incremento" (Rgola, II, 30-32). Da ciò risulta evidente che Benedetto non si fa condizionare da ideali astratti o rigidi principi. Ha a che fare con uomini; l'abate deve adeguarsi a ognuno. Deve prendere ognuno com'è e interrogarsi continuamente sulla concreta volontà di Dio per ogni situazione. La discretio di Benedetto non ha niente a che fare con un rigido principio. Benedetto si fa incontro a ognuno, si adatta alla singolarità di ognuno. Tutto egli subordina all'intelligente capacità di giudizio dell'abate e non a una qualche regola fissata una volta per tutte. E' evidente la grande fiducia che Benedetto ha nella capacità di giudizio dell'uomo: una capacità di giudizio che in forza dell'ascolto dello Spirito di Dio, rende possibile vederci chiaro e decidere. La Regola di Benedetto non sarebbe altrimenti diventata nei secoli un manuale pedagogico. Ancor oggi la discretio si potrebbe adottare come un principio basilare per l'educazione dei giovani con migliore ragione di tante teorie pedagogiche basate su ideali astratti e non aderenti all'uomo concreto. A volte sembra che si vogliano piegare gli scolari ai concetti pedagogici, anzichè mettersi ad ascoltarne le vere necessità. Inoltre, la discretio benedettina può aiutarci ad avere gli uni con gli altri dei rapporti umani. Perchè oggi rischiamo di giudicare gli altri in base a criteri psicologici e di volerli cambiare, quando non li troviamo in linea con quei criteri. Senza nemmeno più accorgerci fino a che punto crediamo di sapere davvero cos'è buono per gli altri. Da Benedetto possiamo imparare a liberarci da tutte le nostre teorie psicologiche che spesso ci danno un'immagine falsata degli uomini concreti, per farci invece incontro al singolo senza pregiudizi , aprendoci benevolmente alla sua unicità.


Per approfondire: 
Anselm Grun, "Benedetto da Norcia La Regola per l'uomo d'oggi", ediz. San Paolo.
Regola Benedettina