Ascolta, figlio, i precetti del maestro, porgi attento il tuo cuore, ricevi di buon animo i consigli di un padre che ti vuol bene e mettili risolutamente in pratica, per ritornare con la fatica dell'obbedienza a Colui dal quale ti eri allontanato per l'accidia della disobbedienza (Regola benedettina, prologo)
In questo quinto post analizzeremo cosa Benedetto intenda per stabilitas: un principio di ordine e stabilità al quale noi, persone d'oggi sempre più sradicate e insicure, dovremmo attingere come un bene prezioso!
Gli storici sottolineano che la stabilitas, la continuità, l'appartenenza a una comunità concreta e ordinata che Benedetto esige dal monaco fu un'àncora di salvezza per quella sconvolta epoca di migrazioni di popoli. In anni recenti si è invece tentato di attenuarla: in un'epoca della mobilità, la stabilitas sarebbe un relitto del passato. Oggi però ricomincia a crescere una nuova comprensione del suo valore positivo: nella nostra epoca dei cambiamenti, in cui gli uomini sono obbligati a mutare di continuo residenza e vivere in ambienti nuovi, i punti fissi sono diventati una benedizione. Dalla continuità viene anche una certa imperturbabilità di fronte agli avvenimenti quotidiani. Molti giovani hanno intuito l'importanza di potersi appoggiare a una comunità stabile, sempre uguale a se stessa nella sua quotidianità, negli anni che passano, mentre tutto cambia, fuori e dentro sè. Oggi si avverte un crescente timore del legame. Si ha paura a legarsi in un matrimonio; si esita a decidersi per una professione. Si vorrebbe far prima le prove di tutto, bussare prima a tutte le porte; ma, prima che uno se ne possa rendere conto, sono tutte chiuse. E così si continua a vivere senza decidere e senza legami stabili. Invece della vita intensa e libera che si sperava, si raccoglie sradicamento, insicurezza, angoscia di fronte alla vita. L'incontro con la stabilitas di Benedetto potrebbe davvero essere un efficace antidoto per degli uomini e delle donne che non si sentono più a casa, in quest'epoca di sconvolgimenti. Ma la stabilità benedettina non può diventare una fuga dalle responsabilità sociali. E' piuttosto un contrappeso, che ci richiama a prestare più attenzione alle nostre radici. E potrebbe darci il coraggio di decidere di fermarci, di assumere dei legami. Ma la stabilitas è di più che semplicemente legarsi e restare in un posto. Per gli antichi monaci, la stabilitas è essenzialmente tener duro quando si è squassati da tutti i possibili pensieri e tentazioni. E' il "restare nella propria cella": che non significa affatto fingere di non vedere i propri problemi, ma al contrario affrontarli, senza scappare da sè. La stabilitas, potremmo dire il saper resistere nella propria cella, potrebbe anche oggi essere per molti un metodo salutare per guarire la loro intima irrequietezza. Il grande filosofo Blaise Pascal disse che "tutta l'infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera". Se imparassimo di nuovo a "stare nella nostra stanzetta", a perseverare e resistere alla tentazione di cambiare sempre, allora potremmo vedere quante cose in noi si chiarirebbero, fino a che punto andremmo alle radici dei nostri problemi e da dove la nostra guarigione dovrebbe ripartire. Se è anche vero che la testa vuole novità, il cuore desidera in fondo sempre la stessa cosa.
Regola Benedettina
Gli storici sottolineano che la stabilitas, la continuità, l'appartenenza a una comunità concreta e ordinata che Benedetto esige dal monaco fu un'àncora di salvezza per quella sconvolta epoca di migrazioni di popoli. In anni recenti si è invece tentato di attenuarla: in un'epoca della mobilità, la stabilitas sarebbe un relitto del passato. Oggi però ricomincia a crescere una nuova comprensione del suo valore positivo: nella nostra epoca dei cambiamenti, in cui gli uomini sono obbligati a mutare di continuo residenza e vivere in ambienti nuovi, i punti fissi sono diventati una benedizione. Dalla continuità viene anche una certa imperturbabilità di fronte agli avvenimenti quotidiani. Molti giovani hanno intuito l'importanza di potersi appoggiare a una comunità stabile, sempre uguale a se stessa nella sua quotidianità, negli anni che passano, mentre tutto cambia, fuori e dentro sè. Oggi si avverte un crescente timore del legame. Si ha paura a legarsi in un matrimonio; si esita a decidersi per una professione. Si vorrebbe far prima le prove di tutto, bussare prima a tutte le porte; ma, prima che uno se ne possa rendere conto, sono tutte chiuse. E così si continua a vivere senza decidere e senza legami stabili. Invece della vita intensa e libera che si sperava, si raccoglie sradicamento, insicurezza, angoscia di fronte alla vita. L'incontro con la stabilitas di Benedetto potrebbe davvero essere un efficace antidoto per degli uomini e delle donne che non si sentono più a casa, in quest'epoca di sconvolgimenti. Ma la stabilità benedettina non può diventare una fuga dalle responsabilità sociali. E' piuttosto un contrappeso, che ci richiama a prestare più attenzione alle nostre radici. E potrebbe darci il coraggio di decidere di fermarci, di assumere dei legami. Ma la stabilitas è di più che semplicemente legarsi e restare in un posto. Per gli antichi monaci, la stabilitas è essenzialmente tener duro quando si è squassati da tutti i possibili pensieri e tentazioni. E' il "restare nella propria cella": che non significa affatto fingere di non vedere i propri problemi, ma al contrario affrontarli, senza scappare da sè. La stabilitas, potremmo dire il saper resistere nella propria cella, potrebbe anche oggi essere per molti un metodo salutare per guarire la loro intima irrequietezza. Il grande filosofo Blaise Pascal disse che "tutta l'infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera". Se imparassimo di nuovo a "stare nella nostra stanzetta", a perseverare e resistere alla tentazione di cambiare sempre, allora potremmo vedere quante cose in noi si chiarirebbero, fino a che punto andremmo alle radici dei nostri problemi e da dove la nostra guarigione dovrebbe ripartire. Se è anche vero che la testa vuole novità, il cuore desidera in fondo sempre la stessa cosa.
Per approfondire:
Anselm Grun, "Benedetto da Norcia La Regola per l'uomo d'oggi", ediz. San Paolo.Regola Benedettina
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