martedì 7 agosto 2012

PENSIERI E PAROLE DI DUE CICLO-PELLEGRINI

Caro pellegrino, gentile pellegrina,


Pubblico volentieri le interessanti considerazioni di Alessandro ed Enrico di Bologna, al ritorno dal Cammino di San Benedetto. 
Ti lascio alla lettura e con una domanda: 
QUAL'E' IL SENSO DEL CAMMINO PER TE? Parliamone.

A presto, Simone



Riflessioni "a caldo"
di Alessandro Babini

Simone Frignani, promotore del Cammino di San Benedetto e autore dell’omonimo libro, mi ha chiesto di scrivere una riflessione sull’esperienza che ho appena svolto da pubblicare sul suo sito, invito che colgo con molto piacere approfittando per salutarlo e ringraziarlo per il suo bel progetto. 

Perchè questo cammino. Non lo so perché, non credo per motivi religiosi, mi considero cattolico ma non praticante, con un concetto di Dio che per certi versi si scosta dalla Chiesa ufficiale mentre per altri lo condivide. Probabilmente è stato un insieme di elementi che si sono uniti: il fatto che ancora non sapevo dove andare per la mia settimana di ferie e nemmeno un mio caro amico, il fatto che comunque mi piacciono molto la mtb e la natura e, soprattutto, i viaggi e le nuove esperienze. Si perché io un pellegrinaggio di questo genere non l’avevo mai fatto. E’ stato questo mio amico, Enrico, a farmi conoscere il sito del cammino di San Benedetto, e ammetto che l’interessante progetto descritto all’interno delle sue pagine ha destato subito la mia curiosità, quindi, senza pensarci troppo e senza nemmeno chissà quale allenamento, abbiamo deciso di partire con le nostre biciclette e percorrere questi 350km tra l’Umbria e il Lazio, sulle tracce del santo di Norcia attraverso gli splendidi paesaggi che queste terre, spesso inaspettatamente, ci regalano. E l’abbiamo fatto tutto, seppur con qualche lieve variante per motivi tecnici e di tempo. Sto scrivendo questa piccola considerazione la sera dopo l’ultima tappa di Montecassino e il viaggio di ritorno del pomeriggio in treno con le pesanti sacche portabici e credo che sia in effetti un buon momento per farlo. Non troppo presto perché la fatica e l’enorme quantità di luoghi che abbiamo visto avrebbe potuto condizionarmi e nemmeno troppo tardi perché quella particolare e percettibile sensazione di coinvolgimento che chi ha provato questo tipo di esperienza si porta dentro sia svanita del tutto per lasciare spazio al freddo, seppur caro, ricordo. Ho parlato di fatica. Si, perché la fatica credo sia stata fondamentale in questo viaggio, ci ha sempre affiancato fin dal primo pomeriggio come una fedele compagna e ha costituito una sorta di strano collante per tutte le tappe che abbiamo affrontato, dando loro un senso particolare e unico. Credo proprio che se avessimo visto tutti questi splendidi posti raggiungendoli con la macchina o con la moto senza alcuno sforzo, non sarebbe stata decisamente la stessa cosa, sarebbe stata solo una sfilza di oggetti immobili, seppur unici e carichi di significato, senza però un filo logico che li unisse, bensì a sé stanti come tanti manichini in bella mostra in una vetrina piena di luci. La fatica che abbiamo provato ogni giorno, ogni ora, a pedalare sotto al sole cocente anche alle due o alle tre del pomeriggio, con salite ripide che si alternavano a discese altrettanto impegnative, con le gambe indolenzite e le pulsazioni a mille, abbiano dato un significato diverso ad ogni piccolo paese che toccavamo e in cui ci fermavamo più che volentieri, un po’ per visitarlo e un po’ per riposarci. Ogni tappa era una sorta di piccola conquista, dove potevamo godere un meritato ristoro, che ci faceva probabilmente godere ancora di più il luogo in cui ci trovavamo in quel momento. Un monaco nel convento benedettino di Subiaco ci ha detto che la fatica va offerta, beh, per quanto mi riguarda, non so se io l’ho offerta nel modo giusto, ma sono certo del fatto che questo viaggio il nostro sforzo se l’è preso tutto, e alla fine, nel suo modo particolare e profondo, ci ha ripagato in pieno. In questa settimana ho troncato tutte le attività che normalmente svolgo nella mia vita quotidiana che, mi conosce bene lo sa, è abbastanza frenetica tra lavoro, vita privata e quel poco di tempo che mi riesco ancora a ritagliare per scrivere. Erano anni che non staccavo la spina così, proprio perché questa esperienza, per forza di cose, prende tutto te stesso, impegnando le tue risorse per pedalare tutto il giorno e raggiungere la tappa successiva, per trovare da mangiare, per trovare da dormire, giorno per giorno, ora per ora. Ci siamo ritrovati a pedalare alle dieci di sera al buio perché avevamo forato una gomma o perché il bed & breakfast in cui c’era posto era fuori mano rispetto al centro del paese. Eppure, già lo so, mi mancherà anche questo. Ne parlavo proprio oggi col mio compagno di avventura, Enrico, di come ci siamo lamentanti continuamente del caldo e della fatica durante il viaggio mentre stamattina, appena svegliati nelle nostre rispettive case, ci sembrava strano non prendere la nostra bici per partire e, sembrerò strano, ma un po’ mi mancava pure. Si era creato una sorta di micro-mondo dove il nostro viaggio era al centro di esso e tutto veniva fatto per raggiungere la tappa successiva e scoprirla delle sue bellezze; questo mondo aveva anche il suo personale e bizzarro linguaggio: ad esempio, ogni volta che avevamo sete dovevamo cercare urgentemente un “fontanile” perché la guida che usavamo aveva in principio usato quel termine per indicare una comunissima fontana, oppure ogni paese che si ergeva su un colle (praticamente tutti in quelle zone) era “abbarbicato sui colli”. Avremmo usato questi termini centinaia di volte durante il viaggio, erano i nostri tormentoni insieme ad altri, li usavamo al momento del bisogno, o per ridere, scherzare, per cercare di togliere l’attenzione dalla fatica. Un barista di Monteleone, un grazioso paese appunto “abbarbicato su un colle” in provincia di Perugia, dopo avergli raccontato da dove venivamo e dove eravamo diretti con le nostre bici ci ha squadrato e ci ha chiesto candidamente: “Ma perché lo fate?”. Io e Enrico ci siamo guardati un attimo e non abbiamo saputo che rispondere. Non credo ci debba essere sempre un rapporto di causa ed effetto nelle cose, a volte la causa o il significato può sopraggiungere dopo, quando ripensi a tutto quello che hai fatto e come. Questa esperienza credo sia uno di questi casi, io non ero affatto pronto per affrontare questo cammino, non sapevo perché lo stavo facendo, immerso nei miei impegni quotidiani, mi sono un po’ preso per i capelli e mi ci sono buttato in mezzo, e più c’ero dentro, più volevo andare avanti, offrendo e offrendomi la mia fatica. Ora, sono assolutamente contento di averlo fatto. In questi frangenti spesso si parla di arricchimento personale o spirituale, ma non vorrei scadere nel banale o nella trappola del deja vu delle considerazioni e delle riflessioni; in realtà, se mi guardo indietro vedo un ragazzo che per una settimana ha staccato la mente da tutto ciò che prima lo impegnava per intraprendere un cammino che lo ha coinvolto in tutte le sue forze fisiche e mentali, che grazie all’impegno e allo sforzo ha percorso e raggiunto le proprie tappe scoprendo e visitando luoghi meravigliosi dal punto di vista naturalistico, architettonico, artistico e spirituale. E questo è indubbio, che si sia credenti oppure no, si tratta di posti dal valore storico e culturale immenso. Vedo anche un ragazzo che per una settimana si è riappropriato di un po’ del proprio tempo e lo ha condiviso, e se da questa bellissima esperienza potrà ricavare nuovi occhi per guardare le cose di sempre in maniera più profonda e serena, allora potrò dire veramente di essermi arricchito. 

Alessandro

“Perchè lo fate”
di Enrico Bellodi

Uhm... alla fine solo io, te e Simone leggeremo questo post, lungo e bello?!
Ovviamente concordo con quanto hai scritto. Questo viaggio, che abbiamo vissuto come un'esperienza, e non come una vacanza, finisce per avere un significato completo solo per chi l'ha fatta, o condivisa in qualche modo. Ma anche averla seguita su facebook è stato utile a tanti, per vedere se "i nostri eroi" ce la facevano oppure no ad arrivare alla meta.
La domanda "perchè lo fate" continua a risuonare anche a me nella testa. Una risposta è difficile darla; forse, perchè, semplicemente, volevamo fare qualcosa per noi stessi e riappropriarci un po' di più di noi, del nostro tempo (che scorre davvero diversamente in momenti simili!) e delle nostre vite.
Penso agli interminabili e piacevoli momenti di silenzio, di salita con sudore, agli sguardi e ai discorsi delle persone, ai posti percorsi, al pellegrinaggio su luoghi importanti e "santi"... e a tutto il tempo perso, quotidianamente, per cose che ora mi sembrano ben sciocche!
Spero di cuore che tutto questo serva, venga offerto per essere migliori domani. Per me, per noi e per chi incontreremo nel nostro "cammino".

Enrico 

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